L’arte è un’attività che consiste nel produrre rapporti col mondo attraverso segni, forme, gesti od oggetti

Le mie ultime ricerche in ambito estetico mi hanno condotto a lavorare con gli artisti più o meno della mia generazione, gente come Maurizio Cattelan. In un testo pubblicato sulla rivista “Documents” ho parlato del mio metodo come ‘estetica relazionale’. Sottolineare i punti salienti di questa nuova generazione di artisti è quanto io chiamerei un interesse per le relazioni e per i rapporti umani. Credo che oggi ci troviamo di fronte all’emergere di una cultura di interazioni. Si è costituito recentemente un nuovo sistema dell’arte ed esso è basato sull’idea di relazioni. Un breve sguardo sulla storia dell’arte: la prospettiva, la ‘veduta’, era basata su quel punto particolare in cui, come disse Panofsky, noi diventiamo il soggetto, che è precisamente la posizione caratteristica dell’umanesimo; la costituzione del sé a partire da un punto. Un successivo slittamento significativo nella storia dell’arte è quello dell”all-over’, un modo di estendere l’identità umana. Seguendo la stessa linea, vale a dire il corso del soggetto, direi che l’arte di Performance andrebbe definita più ‘all around’ che ‘all over’ (‘tutto intorno’ piuttosto che ‘tutto sopra’, n.d.t.). Ciò che voglio sottolineare è questo slittamento dall’autorità dell’immagine verso un modo più democratico di percepire l’arte, uno spazio che dovrebbe essere partecipativo piuttosto che basato sull’autorità dell’immagine, come è prevalentemente accaduto nella storia. …

Ciò di cui desidererei discorrere è l’idea che qualsiasi forma sia una contrattazione ed è basata sulle relazioni umane. Dico questo perché non credo nel linguaggio formale: credo che il significato emerga dalla installazione delle forme, da come si correlano l’una all’altra, dal modo in cui si ordinano nello spazio artistico. Mentre l’interattività è diventata, naturalmente, una sorta di parola chiave, il mio personale concetto di essa va oltre il mondo di gadget come internet. L’interattività incomincia con una stretta di mano che, in un certo senso, è più interessante di qualsiasi relazione possa essere mediata da mezzi tecnologici. Per quanto riguarda il mio interesse nell’interattività, vorrei dare la definizione seguente dell’attività artistica: l’artista inventa relazioni tra la gente con l’aiuto di segni, forme, azioni o gesti. …

È molto significativo il fatto che lo spazio in cui ha luogo la mostra dovrebbe divenire il luogo di effettiva produzione dell’opera stessa. …

A mio parere, il processo più importante che si è verificato dall’inizio dell’arte moderna è stata la trasformazione dell’opera da un monumento a un evento. Un evento è qualcosa che dobbiamo condividere e comprendere; nessuno comprende un evento in se stesso; esso richiede una certa discussione, un tentativo di stabilire uno scambio con i partecipanti o altri osservatori. …

Il ruolo dell’arte nel porre in dubbio il sistema sociale è di considerevole importanza. C’è una intuizione molto rilevante nella filosofia marxiana secondo cui le cose progrediscono creando luoghi chiamati interstizi, posti che sono isolati rispetto al più vasto cotesto sociale e liberi da relazioni di mercato. …

Oggi, il ruolo dell’artista non è più un’eccezione. Comunque, l’artista rigetta le regole comunitarie sostituendole con reti e possibilità relazionali nuove, creando non tanto un nuovo soggetto individuale (come secondo la prospettiva tradizionale) ma soggetti in quanto gruppi, intersezioni tra persone che formano nuove soggettivazioni al posto di un soggetto tradizionale.

Nicholas Bourriaud – Corso superiore di arte visiva – Fondazione Antonio Ratti

Nicolas Bourriaud è autore di  Estetica Relazionale, Editore: postmedia 2010

Pittura e Fotografia: contaminazione o identità

A New York, Duchamp lavora ad una delle sue produzioni più importanti ed enigmatiche. Nel 1920, prima che il lavoro sia terminato, Man Ray scatta una fotografia dell’oggetto che ne diviene, a sua volta, una provocazione artistica.

“Proposi a Duchamp di andare a prendere l’apparecchio fotografico, che non avevo mai portato fuori dallo studio, per fotografare il suo vetro, come gli avevo offerto fin dalla prima visita. Avevo già notato che il pannello di Duchamp era illuminato da un’unica, nuda lampadina, ma sapevo per esperienza che la cosa non aveva importanza quando si trattava di fotografare un oggetto immobile. Fissando stabilmente la macchina sul suo cavalletto, con un tempo di esposizione sufficientemente lungo, il risultato sarebbe stato soddisfacente. Mentre fissavo l’obiettivo, il pannello, visto dall’alto, sembrava uno strano paesaggio. Era polveroso e qua e là i residui sfilacciati di stoffa e bambagia usate per pulire le parti ultimate gli davano un sapore di più profondo mistero. Il mistero, pensai, ecco il vero regno di Duchamp. L’esposizione doveva essere molto lunga; aprii dunque l’otturatore e uscimmo a mangiare qualcosa. Dopo un’ora circa tornai a chiuderlo e mi precipitai nel mio scantinato per sviluppare subito la lastra. Era un lavoro che facevo sempre di notte, non avendo una camera oscura. Il negativo era perfetto. Potevo confidare nella riuscita di qualsiasi futura commissione.”

Trascrizione dell’audioguida della mostra su Man Ray al Museo d’Arte di Lugano (Svizzera) – Marzo 2011

Arte Nucleare

Ciao Marino,
parlando di materia e quindi di conseguenza di atomo credo meriti di essere citato anche questo movimento artistico.
A presto
Fulvio

Nel Manifesto della Pittura Nucleare, lanciato a Bruxelles in occasione della mostra alla Galleria Apollo nel febbraio del 1952, si legge:

 i Nucleari vogliono abbattere tutti gli “ismi” di una pittura che cade inevitabilmente nell’accademismo, qualunque sia la sua genesi. Essi vogliono e possono reinventare la Pittura. Le forme si disintegrano: le nuove forme dell’uomo sono quelle dell’universo atomico. Le forze sono le cariche elettroniche. La bellezza ideale non appartiene più ad una casta di stupidi eroi, nè ai robot. Ma coincide con la rappresentazione dell’uomo nucleare e del suo spazio. […] La verità non vi appartiene: è dentro l’atomo. La pittura nucleare documenta la ricerca di questa verità.

Materiali, immateriali e interazioni con la sensibilità d’artista

… De Kooning prese un’altra cartella, esaminando un disegno dopo l’altro con la stessa lentezza di prima. <Questi mi mancheranno> disse <questi mi piacciono.> Continuava a guardarne uno in particolare, ma poi dichiarò <No, ne voglio uno che sia veramente difficile da cancellare>. E andò a prendere una terza cartella. Alla fine scelse di sacrificare un disegno importante e corposo: un’immagine densa realizzata con vari materiali tra cui, come ha ricordato Rauschenberg, <carboncino, grafite, di tutto. Dopo due mesi non ero ancora riuscito a eliminarlo completamente. Ho consumato un sacco di gomme da cancellare.> In seguito, de Kooning si arrabbiò quando il giovane artista espose in pubblico il suo Erased de Kooning. L’olandese era convinto che l’omicidio dovesse rimanere un fatto privato, una questione personale fra artisti, e non essere spiattellato in pubblico. Ma lui apparteneva a un’altra generazione.

(Tratto da: Mark Stevens – Annalyn Swann, De Kooning. L’uomo, l’artista Ed. Johan & Levi)

Rassegnamoci, non li vedremo più

E’ di qualche giorno fa la notizia che un anonimo miliardario si è aggiudicato all’asta “L’urlo” di Edvard Munch per 107 milioni di dollari. E così era stato per “Nudo con foglie verdi e busto” di Pablo Picasso per 106 milioni nel Maggio 2010, “L’uomo che cammina di Alberto Giacometti per 104 nel Febbraio 2010, “Il ragazzo con pipa” di Pablo Picasso per 104 milioni nel Maggio 2004, il “Ritratto del dottor Gachet” di Van Gogh per 82 milioni nel 1990, il “Bal au mulin de la Galette” di Renoir per 78 milioni nel 1990. Gli ultimi due per la verità sono stati acquistati da Ryoei Saito, un miliardario giapponese che molto probabilmente li ha fatti bruciare al momento della sua morte nel 1999, estremo gesto di egoismo nei confronti di quelli che come noi gli sono sopravvissuti.

Al di là delle cifre che se effettivamente sborsate farebbero pensare ad una sbronza colossale dei fantomatici proprietari, c’è da chiedersi come mai l’arte contemporanea stimoli gli istinti più biechi dell’appropriazione e dell’occultamento di cadavere. Si perché se l’opera diventa di uso esclusivo di pochi, come potrà mai assolvere alla funzione primaria per la quale è stata creata: emozionare?

Rassegnamoci, non li vedremo più dal vivo.

E questo, forse, potrebbe farci pensare alla loro “relativa” importanza. Fly down please!

A proposito di Joseph Beuys

 

 

Ciao Marino,

a proposito di J.Beuys ho qualche foto fatta alla cantina museo Zaccagnini di Bolognano (PE), ti allego quella che accenna alla sua filosofia sull’argomento natura ed un pdf sull’artista.

Fulvio

 

 

… Questo articolo non è che un cenno all’opera di Joseph Beuys che ho avuto la fortuna di scoprire durante il percorso della mia formazione artistica e che ha rivoluzionato tutto il mio modo di concepire l’arte. Frutto di un incontro di studio che ho proposto nel 2003 in seno all’Accademia Artistica san Luca di Milano, questo scritto non ha certo la pretesa di essere esaustivo, anzi, direi che non è che l’avvio per un lungo processo di ricerca che intendo portare avanti e che spero di poter offrire ai lettori di LiberaConosenza in articoli successivi a questo. Le parole dello stesso Beuys sono l’introduzione migliore a tutta l’opera di questo artista e al senso delle pagine che seguono: “Io pongo domande, metto sulla carta forme di linguaggio, così come forme di sensibilità, di intenti e di idee, e lo faccio con lo scopo di stimolare il pensiero. Per di più desidero non soltanto stimolare gli altri, ma anche provocarli. Anche là dove questo carattere provocatorio non è subito evidente – come ad esempio nei disegni- esso è comunque presente in profondità.” (J.Beuys).

(Cfr.: Heinr Bastian, Jeanot Simmen, Interview with Joseph Beuys, in Drawing -cat. mostra-, National Galerie Berlin.)

Buona lettura  Letizia Omodeo Salè

La Natura

“La rappresentazione della natura – in un percorso perfettamente parallelo alla rappresentazione delle fattezze dell’uomo – è diventata lo schermo sul quale l’uomo ha proiettato le proprie passioni, la propria idea del mondo, e il senso della vita su questo pianeta. Per precisare le valenze introspettive di tale viaggio, a un certo punto della sua storia, esattamente in epoca romantica, l’uomo-artista ha anzi inventato la formula riassuntiva <<paesaggio-stato d’animo>>.” (Flavio Caroli, Il volto e l’anima della natura)

La natura, nell’arte del novecento, passa dall’essere rappresentata all’essere presentata. Centrale e paradigmatica  di questo passaggio è la figura del tedesco Joseph Beuys .

In continuità col pensiero romantico, come fosse l’ultimo dei romantici, Beuys, come Goethe, sarà in Italia e l’Abruzzo diventerà uno dei luoghi per dare corpo alla sua grande utopia: la “scultura sociale”. Tra i fondatori del movimento dei Verdi, Beuys, <<quando parla di “difesa della natura”, non la intende solo in termini ecologici, ma in senso antropologico, più ampio: difesa dell’uomo, dell’individuo, della sua creatività e dei suoi valori.>> (Lucrezia De Domizio Durini)

NAUFRAGIO (con spettatore) VIANDANTE

ImmagineLa metafora del viaggio, considerata da Blumenberg (Naufragio con spettatore, Il Mulino, Bologna, 1985) come lo strumento per comprendere l’esistenza umana, viene utilizzata per intendere la modernità rappresentata soprattutto nel passaggio da un osservatore distante dal naufragio ad un osservatore coinvolto e immerso nei pericoli della navigazione. Platone parla di una navigazione verso la Verità: il rischio è quello di raggiungere o meno la meta; Pascal parla di una navigazione dentro l’esistenza in cui il soggetto vive i pericoli che la navigazione comporta. Esiste anche l’esperienza di essere insieme naufraghi e spettatori di sé stessi; per Leopardi “il naufragar m’è dolce in questo mare” e di Ungaretti è il paradosso: “E subito riprende il viaggio/Come/Dopo il naufragio/Un superstite/Lupo di mare”. “Naufragio con spettatore” è in fondo una definizione non solo della filosofia, ma dello stato dell’arte. AI concetto di “naufrago” è, in qualche misura correlato quello di “viandante”. Umberto Galimberti (“Il viandante della filosofia” Ed. Aliberti) in una intervista spiega: “L’etica dei principi mutabili non funziona perché la natura è manipolabile. Potremmo ricorrere ad Aristotele, che ci indica nell’etica della ‘saggezza e prudenza’ la possibilità di valutare caso per caso. Fare una valutazione non significa dettare principi e regole, ma chiede di decidere se la questione in campo è vantaggiosa o no per l’essere umano, a seconda delle circostanze. Purtroppo ci troviamo in un’etica non eterna, – non immutabile, quella che io chiamo l’etica del viandante. E il viandante di volta in volta deve decidere come si fa a superare la montagna o a traversare il fiume.”