… De Kooning prese un’altra cartella, esaminando un disegno dopo l’altro con la stessa lentezza di prima. <Questi mi mancheranno> disse <questi mi piacciono.> Continuava a guardarne uno in particolare, ma poi dichiarò <No, ne voglio uno che sia veramente difficile da cancellare>. E andò a prendere una terza cartella. Alla fine scelse di sacrificare un disegno importante e corposo: un’immagine densa realizzata con vari materiali tra cui, come ha ricordato Rauschenberg, <carboncino, grafite, di tutto. Dopo due mesi non ero ancora riuscito a eliminarlo completamente. Ho consumato un sacco di gomme da cancellare.> In seguito, de Kooning si arrabbiò quando il giovane artista espose in pubblico il suo Erased de Kooning. L’olandese era convinto che l’omicidio dovesse rimanere un fatto privato, una questione personale fra artisti, e non essere spiattellato in pubblico. Ma lui apparteneva a un’altra generazione.
(Tratto da: Mark Stevens – Annalyn Swann, De Kooning. L’uomo, l’artista Ed. Johan & Levi)
Il fascino della pietra pomice e del catrame. L’intensità espressiva della iuta e della segatura. La pregnanza degli smalti e degli oli, che determinano superfici grumose e cangianti in base all’incidenza della luce. Così la materia più povera e negletta faceva il suo dirompente ingresso nell’arte, svelando al mondo la propria intrinseca bellezza: la bellezza della povertà, la qualità espressiva dell’usato, del logoro, capace di narrare silenziosamente la vita vissuta fino a ridursi così…
(tratto da: ITALICA – Burri. Gli artisti e la materia 1945-2004)