Bisatòn

La mattina del 26 dicembre Nino si alzò senza avere chiuso occhio. Una morsa gelata gli stringeva il cuore. Si avvicinò alle due bambine, che dormivano rannicchiate una in cima e una in fondo al sofà, e rimase a osservarle, le sue adorate piccine, per ricordarle a lungo. Suonata l’ora si chinò a salutarle con un bacio, senza dire niente. Forse le bimbe si svegliarono, o forse no. Con quel soffio di pelle sulle labbra uscì in cortile. L’aria pizzicava ma era una bella giornata di sole. Fuori ad aspettarlo, avvolti nel tabarro, c’erano i suoi fratelli. Un po’ si sentivano in colpa, ma di certo maggiore era il sollievo perché non toccava a loro partire. In guerra era così.

La cartolina di precetto era arrivata poco prima di Natale. Nessuno aveva il coraggio di dirglielo, a Nino, ma cossa se poe fare? Il 20 dicembre 1942 era stato richiamato alle armi: IX Reggimento Alpini, battaglione Monte Berico. Il 26, giorno del suo onomastico, i fratelli lo accompagnarono in stazione, gli infilarono un soldo nelle tasche e lo lasciarono andare.

Il battaglione viene spedito ad Aidussina, a presidiare il fronte orientale.

Aidussina è il limite.

Il margine di un incubo. Il confine della guerra.

“El posto più distante dove son stà, dove mi hanno mandato.”

L’avamposto della paura.

Raffiche di angosce ricorrenti. L’ansia di non tornare. Il pericolo. La vita.

Dietro ogni fila d’alberi può nascondersi il destino.

Una delle prime notti il capitano ordina a Nino:

«Il nemico deve passare di qua. Appena vedi qualcuno muoversi: spara!».

Il soldato si apposta nella sua garitta. Vigile nelle tenebre.

Solo che “quando go visto quel toso,‘sto bisatòn che camminava ton!ton!ton! de note, coa luna che lo illuminava, non go vudo el corajo, un toso de disnove anni, de coparlo.”

Alla mattina, al cambio della guardia, Nino viene chiamato a rapporto.

«Ma come, non è passato di qui?».

«Giuro, signor capitano, non l’ho visto… non lo go proprio visto».

«Sei sicuro? Non è possibile. Stai attento: guarda che ti sbatto in galera per tradimento!».

«Ghe giuro che non l’è passà!».

Invece qualcuno era passato e nella notte era successo il finimondo. Il ragazzo era a capo dei partigiani che pattugliavano quel bosco e, riunitosi ai compagni, tutti insieme avevano preso a sparare come demoni. Un inferno di fuoco e proiettili per il battaglione. Ognuno si era riparato come poteva. Nino era saltato dentro a un letamaio e aveva passato la notte in moja con le pallottole che gli fischiavano sopra la testa.

“…però son stato graziato, perché a quel toso gli ho risparmiato la vita!”

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