Incontri ravvicinati
Con l’arrivo del terzo millennio, il mio trentennale impiego bancario si era modernizzato, evolvendosi in quello del promotore finanziario: una professione al passo con i tempi, come l’aveva magnificata il mio capo filiale, e certamente rispettabilissima, ma assai poco confacente alle mie scarse doti d’imbonitore. Ecco la ragione principale che mi spinse ad accettare, senza rimpianti, la proposta della Direzione per una sorta di pensionamento anticipato, iniziando, giovane cinquantenne qual ero, a godere della mia fantastica età, esplorando senza fretta strade sconosciute, oppure frugando in vecchi cassetti, colmi di passioni dimenticate.
Tra i numerosi luoghi che andavo scoprendo, ne rammento uno in particolare, da me frequentato con singolare insistenza. Mi è difficile descrivere quei locali austeri, recuperati da decrepiti capannoni, un tempo sede d’instancabili attività. Ci avevano lavorato operai di mille contrade: conciavano le pelli, le coloravano, tagliavano e cucivano con mani esperte, producendo borsette, valige e cinture che erano state il vanto della nostra provincia, bagnata dai sette laghi.
Non lo si poteva definire un negozio vero e proprio, perché la gente ci andava per acquistare, ma anche per vendere, e non era nemmeno un punto di ritrovo, pur incontrandovi tanti individui, a volte bizzarri, sovente forestieri, spinti da una comune condizione di povertà e bisogno. Non mancavano, tuttavia, dei clienti, tra i quali anch’io, semplicemente divertiti dalla novità di quel traffico arruffato di mercanzie usate.