Fuga
Matthew correva sull’asfalto bagnato. I piedi mulinavano senza più ritmo, spinti solo da una frenesia disperata. Il cervello ordinava di correre, correre, correre. Questo solo comando conosceva, dopo aver perso ogni lucidità.
Ogni ansito dipingeva nuvole umide nell’aria pregna di pioggia. Il ragazzo credeva di ricordare che fosse l’inizio dell’autunno, se mai esisteva una stagione nel luogo senza colore in cui era perduto. L’acqua gli scrosciava sul corpo fradicio, coperto solo da una canottiera. Tremava per il freddo e il gelo gli era addosso, ma soprattutto dentro. Ghiaccio pompato nel cuore, nei polmoni, nel sangue. Ma lui continuava a correre, non aveva altra scelta.
Doveva resistere alla tentazione di voltarsi: avrebbe solo accelerato la sua fine. Ciononostante desiderava guardare, sapere. Si girò con il viso ridotto a una maschera di fatica e paura. Per l’orrore gli occhi gli si sgranarono, le pupille si dilatarono come fosse un gatto emerso dalle tenebre nel sole del giorno.
Ebbe solo un secondo per osservarli, ma gli bastò.