RB-2010 – L’uomo che conta i soldi – Fabio Savant

L’uomo che conta i soldi

Ricordo che in seconda elementare la maestra ci raccontò di bambini lontani e meno fortunati, così poveri che non avevano niente con cui giocare. Ci invitò a fare un’opera buona, a rinunciare a uno dei nostri giocattoli per donarlo a loro, in occasione del Natale.

Quando ne parlai ai miei genitori entrambi lodarono l’iniziativa, ma io pensavo di avere un’idea migliore. Mio padre lavorava alla zecca di stato, perciò gli domandai: “Papà, non puoi fare più soldi? Così potranno averli anche i poveri.”

Lui mi rispose: “Non funziona in questo modo: la quantità di soldi che circola deve corrispondere alla ricchezza del paese.”

“Appunto,” replicai, “Se ne fai di più il paese sarà più ricco e non ci saranno più poveri.”

“No,” mi spiegò, “Se ne facessi di più, i soldi varrebbero di meno.”

Proprio non capivo come i soldi potessero valere meno di ciò che valgono, ma insistetti: “E tu non dirlo a nessuno che ne fai di più.”

Mio padre si mise a ridere. “I soldi vengono contati,” disse.

Immaginai un uomo vestito di grigio, con la schiena curva e le mani un po’ viscide, che di mestiere contava i soldi. Tra me e me pensai: “Qualcuno dovrebbe ucciderlo.”

Ero deluso, ma rimaneva ancora la proposta della maestra.

Andai in camera e cominciai a disporre in fila i miei giochi. C’era una scavatrice radiocomandata completa di segnalatore luminoso; c’era un coccodrillo di gomma a cui avevo staccato la coda tirandola troppe volte e con troppa forza; c’era un giochino elettronico, ridicolo se paragonato a quelli che hanno oggi i miei figli, ma che all’epoca tutti mi invidiavano; la fila continuava a lungo e ogni oggetto aveva per me qualcosa di magico e irresistibile.

Impiegai diversi giorni per decidere e alla fine confezionai una piccola scatola regalo con i colori del Natale. La portai a scuola e la misi nel cesto che la maestra aveva preparato, cercando di nasconderla sotto tutti gli altri pacchetti.

In questo momento sono seduto dietro un tavolo in radica, indosso una cravatta da quasi cento euro e ho ancora in bocca il sapore del caviale del brunch. Nel mio ruolo di rappresentante istituzionale, discuto con i miei pari da tutta Europa di cosa si possa fare contro la povertà.

Di fronte a me un uomo si è alzato in piedi tentando di dare enfasi alle sue parole, di far capire la vera natura del problema. Ha in mano una piccola scatola sbiadita dal tempo.

Quarant’anni fa quell’uomo era un bambino e teneva in mano la stessa scatola per la prima volta, ed era vuota allora come lo è ora.

E torno a pensare che per sconfiggere la povertà qualcuno dovrebbe uccidere l’uomo che conta i soldi.

 

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