RB-2010 – Inappartenenza – Lucia Cherubini

Inappartenenza

“Io amo la vita semplice delle cose.

Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,

per ogni cosa che se ne andava!”

Corazzini, “Desolazione del povero poeta sentimentale”

Sento una grande tenerezza per i libri non miei sui quali faccio conti di nessuna importanza, per le penne smarrite da altri nella mia borsa, per questo appartamento vuoto, per le tende che languono da anni a finestre chiuse, soffocate dalla polvere, con un urlo muto che nessuno ascolta.

Ho amato il tremare di verde della primavera e il tremare di pioggia dei cancelli in autunno.

Sento tenerezza fino alle lacrime per il pallone che fugge tra le case, per il pianto disperato del bambino che vede cadere il gelato che ha pagato con la sua moneta appiccicaticcia, il gelato al quale nessun altro sarà uguale.

Ho pianto, soprattutto per i pianti degli altri.

Ho pianto per le stanze vuote e per l’agonia delle parole dimenticate in un cassetto. Ho versato lacrime segrete, questa mattina, per i tasti ingialliti del pianoforte: ingialliti e scordati, tasti che non vengono accarezzati da una vita.

E’ così che te ne sei andata, nel silenzio mattutino delle sei: le rotelle della valigia che strisciavano a terra e i tacchetti sul marmo delle scale ne facevano parte. Il tram se n’è andato con un gran fracasso, ed era silenzio anche quello.

Quel giorno, senza saperlo, hai vagato con me per le strade deserte della città di primo pomeriggio: eri ovunque. Dei dieci film in programmazione al cinema, solo tre non li avevamo già visti insieme.

Ho pensato che il pianoforte si ricordasse ancora della sonata “Al chiaro di Luna”, che poi, come ci tenevi sempre a precisare, si chiama “Sonata quasi una Fantasia”. “Al chiaro di Luna”, a me, piaceva di più.

In ogni modo se lo ricordava. Me l’ha detto con il lamento straziante dei tasti scordati. Mi sono voltato verso l’antiquario e ho detto che poteva portarlo via.

Adesso mi aggiro nell’appartamento deserto, spoglio, nel quale la luce del tramonto che filtra dalle imposte disegna ombre sui pochi mobili rimasti, coperti da lenzuola bianche. Fantasmi.

Quella mattina, prima che il tram partisse, alla finestra ti ho guardata salire. Ti sei voltata verso di me, mi hai guardato desolata, e so che stavi aspettando che ti fermassi: mi lasciavi ma ti sentivi come me: come se le tue uniche certezze le avessi, ormai, dietro le spalle.

Ti ho guardato, le labbra, la curva delle spalle, e l’orlo del tailleur, sotto il ginocchio, raffinato e demodé.

Un colpo di vento ha chiuso le imposte.

 

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