Una giornata del cavolo

Al bar per il mio solito aperitivo, ho le mani nel vassoio di tartine al salame e gli occhi su un titolo della rivista Energia &Salute, che è lì sul banco. PER PRODURRE UN CHILO DI CARNE SERVONO VENTIMILA LITRI D’ACQUA, PER UN POMODORO TREDICI. Terrorismo alimentare, penso subito, e mi metto a leggere l’articolo. Sono proprio curioso di vedere che palle racconta. Sarà il solito salvatore del mondo, moralista finché dura la moda. Tutti professori, questi qua, non li sopporto. Specie quelli che rifiutano pure le uova e il latte.

Ventimila litri, scrive il giornale. Tra l’acqua consumata in tutto il ciclo produttivo e i cereali che si mangia, una vacca fa fuori un capitale. Le stesse risorse dissetano una famiglia per un anno e la sfamano per dieci.

Il ragionamento, se non altro, fila. Odio la retorica ambientalista e chi pontifica nel mio piatto, ma qui non trovo né l’una né l’altro. I dati sono oggettivi, l’autore riferisce con distacco, e forse proprio questo atteggiamento neutro mi porta a leggere tutto l’articolo. Annoto mentalmente il nome del giornalista, ed esco dal bar. Mi ha tanto condizionato che l’aperitivo mi ha tolto l’appetito, e invece di entrare dal macellaio faccio due conti davanti alla sua vetrina. Per una fetta di prosciutto, una vasca da bagno. Per quel filo di salsicce, sei cisterne. Il quarto di vitello appeso al gancio si prende una piscina, l’intero negozio varrà più o meno quanto un lago. Pranzo di Natale più grigliata di pasquetta, moltiplicato per gli hamburger del Texas, e voilà, ho prosciugato le falde acquifere del pianeta. Senza contare l’anidride carbonica e il surriscaldamento. È chiaro che un sistema del genere non reggerà all’infinito.

Centro metri in là entro dal fruttivendolo, almeno per oggi. Non credo nei sempre e nei mai, i principi assoluti mi stanno stretti e in genere evito i propositi a lunga gittata, ma di fronte a questa consapevolezza non riesco a fare finta di niente. Voglio approfondire la questione, considerare ogni aspetto, anche pratico. Questo sacchetto di cavolo nero, ad esempio, come diavolo lo cucino? A casa mi attacco al computer e, prima di cercare qualche ricetta per risolvere il pranzo, digito il nome del giornalista. Il terzo link rimanda a una festa di paese della settimana scorsa. Una fotografia lo ritrae fra dieci amici che azzannano uno stinco di maiale. Lui, al centro, ha quello più grosso. Maledetto ipocrita. Me lo sentivo che non c’era da fidarsi. Pazienza, chiuda gli occhi e faccia quello che vuole, lui, ha però il merito di avere aperto i miei. Inizio con patate e carote, per la zuppa di cavolo vanno tagliate a dadini.

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