La stanza odora di erba tagliata, ma ci sono solo mura a incorniciarla. Le dita di una ragazzina le percorrono, sentono l’intonaco cedere. Non c’è nessuna mobilia, solo un grosso camino fuligginoso e due poltrone: una bordeaux, sbiadita come l’uomo che la occupa, e l’altra un rattoppo di stoffe colorate. È per la piccola Miranda. Ha occhi intelligenti e gote inconsapevoli. Il corpo risuona come una nota acuta, ondeggia nell’incedere, sbilanciato in scarpe troppo grandi per i suoi piedi. Si siede a gambe incrociate sulla poltroncina variopinta e sorride al vecchio. Ora le sue dita ricalcano il profilo del vestito che indossa, per poi intrecciarsi tra loro, come i capelli che ha raccolto dietro le orecchie. Ha l’odore di terra e la voce di chi ha ancora molto da scoprire: «Nonno, mi racconti una storia?» chiede.
Il vecchio prende un lungo respiro e lo lascia defluire lento, quasi fosse l’ultimo. Allunga le mani sui braccioli della poltrona, distende il collo all’indietro e dà fiato alle sue corde vocali, talmente basse da riecheggiare lungo tutto lo schienale: «Quando avevo poco meno della tua età, c’era un uomo. Un giocoliere di parole. Così si diceva di lui. Si divertiva a combinarle all’infinito, in modi sempre diversi e sorprendenti. Ogni bambino l’ascoltava, perché in quello che diceva c’erano mondi da scoprire, e avventure da immaginare. Nessuno sapeva da dove venisse, o dove andasse, ma le sue parole facevano sognare. Ricordo che… un attimo prima lui non c’era e l’attimo dopo i suoi occhi carichi del colore della tempesta mi fissavano con insistenza, quasi potesse leggere i miei pensieri. Mi parlò. Mi disse una cosa che solo lo scorrere degli anni ha saputo spiegarmi. Mi confidò che il tempo ha sempre fretta, che porta via le ore e fa scordare l’entusiasmo dei desideri. Io lo guardai senza dire nulla, non capivo, ma lui continuò, cercando parole più semplici. Mi disse che crescendo mi sarei dimenticato di sognare e non avrei più avuto fantasia perché quando si diventa grandi ci si scorda di far volare l’immaginazione, un po’ per pigrizia e ancor di più per paura.» L’anziano prende pausa, liscia i lungi baffi tra pollice e indice e apre gli occhi a fissare il soffitto, è scrostato, come le pareti. E come il suo cuore, ormai gonfio e sfibrato. Una guancia si riga d’emozione, e lui si perde a ripercorrere i suoi sogni di bambino.
«Nonno?… tutto bene?»
Miranda sta per alzarsi, quando lui riprende: «E così è stato, gli anni hanno cancellato tutto quello che da piccolo mi donava il sorriso. Mi hanno fatto smettere di sognare, facendomi pensare solo alla realtà. Alle responsabilità. Il che non è certo un male, cara Miranda, ma… solo ora, da vecchio quale sono, mi rendo conto che quanto è passato non torna, e che i sogni vanno nutriti con l’entusiasmo che solo alla tua età si ha.» Si asciuga la lacrima fingendo di grattarsi la guancia, solleva il capo a guardare la nipote e conclude: «Vedi Miranda, spero ti sia chiara la morale… non sempre quello che vedi è come appare, non sempre quello che appare è come sembra. Serve anche sognare. Ma una cosa è certa, come ha scritto un bravo scrittore, l’essenziale è invisibile agli occhi.»
«Ma nonno… se qualcosa è invisibile, come si può vedere?»
«Se ti chiedo di descrivermi il fuoco, tu cosa mi dici?»
«Che è rosso, e brucia.»
«E se tu non potessi vederlo?»
Miranda piega la testa come un gufo, arriccia le labbra.
Il nonno le spiega: «Se non avessi gli occhi per vederlo, come lo descriveresti il fuoco?»
La piccola rimane in silenzio, dondola sull’altalena dei pensieri in un viavai di ipotetiche risposte che trovano sempre una domanda in più.
Il nonno si alza a fatica dalla poltrona, lasciando dietro sé la sagoma sulla pelle smunta.
«Dove vai nonno?»
«Sono qui Miranda. Porta pazienza un attimo, sai…» la voce asseconda lo stiracchiarsi della schiena indolenzita, «le mie ossa…»
«… chiedono pietà», conclude la nipote modulando la voce a imitare quella del nonno, ora intento ad armeggiare con tocchi di legna e carta di giornale.
«Chiudi gli occhi Miranda, e ascolta» le dice.
Nel camino un piccolo fuoco nasce.
«Cosa senti Miranda?»
«La tua voce nonno.»
«Oltre la mia voce?»
Non risponde.
«Non senti il fuoco?»
«Sono lontana nonno.»
«Ascolta i suoni.»
Miranda tende le orecchie.
«Nonno! Lo sento!» Il sorriso le attraversa il volto.
«Raccontami allora.»
«Il fuoco scricchiola, scoppietta… a volte quasi fischia.»
«E che odore ha?»
Dopo qualche istante passato con la bocca storta, Miranda risponde: «Ha l’odore della legna… della foresta, e del fumo.»
«E sulla pelle non lo senti?»
«Sento che mi scalda… che mi dà piccoli brividi… che cambia la luce anche sotto le palpebre chiuse! Sì! Lo vedo anche senza vederlo!»
«E il gusto? Che gusto ha?»
Miranda fa uscire una risata controllata, «Ma nonno! Mica si mangia il fuoco!»
Lui sorride: «Hai ragione mia cara, ma se lo ascolti, se lo vivi, se lo senti… che sapori t’immagini?»
Ancora una volta, la piccola si ferma a riflettere, «Sento il sapore delle caldarroste nonno! Il sapore dello spiedo… della zuppa che nonna lasciava andare sulla brace…»
«Allora il fuoco è rosso e brucia?» le chiede bonario.
«Certo!… Ma è anche molto di più!»
Il vecchio tace qualsiasi domanda e torna a sedersi, riadagiandosi nel solco lasciato.
«Sai nonno? Forse ho capito cosa intendeva dirti quel signore che ti ha parlato…» i suoi occhi si caricano di luce, «a usare solo gli occhi, ci si dimentica di tutto il resto. Di tutte quelle sensazioni che ci circondano e ci fanno provare emozioni, anche se non riusciamo a vederle.»
L’uomo mantiene il silenzio, il respiro si fa ancora più lento. Sorride, come se dietro quelle parole avesse trovato la sua libertà di bambino: «Lo penso anch’io Miranda. E, mi raccomando, non scordarlo mai.»
«Non lo scorderò mai nonno. Promesso.» E si traccia una croce sul cuore.
Terrore.
Un boato risuona nelle orecchie, potente, più forte di qualsiasi altro suono mai udito prima.
I muri tremano.
La stanza s’illumina come avvolta da un lampo.
Il soffitto crolla, il fuoco divampa.
I polmoni si saturano di fumo.
La tosse squarcia il petto, brucia.
La gola si stringe e gli occhi si colmano di lacrime.
Miranda ricerca aria che pare non arrivare mai. Si rannicchia tra le gambe, gli avambracci a coprire la testa.
Urla.
Ha il volto intrappolato in un terrore muto, sovrastato dal rumore incessante di scoppi e crolli. Urla.
Urla fino a che ha fiato, poi tutto si oscura e la fuliggine inghiottisce ogni cosa.
Le energie l’abbandonano.
Gli occhi si chiudono piano, come una pellicola nera che cancella tutto quello che incontra.
Il braccio del nonno sbuca tra le macerie. Qualcuno l’avvolge in braccia forti e lei si perde nel nulla. Buio.
O-O-O
Miranda si sveglia terrorizzata, il cuore è una pallina di gomma che non sa trovare una direzione, saltella sempre più forte. Nelle orecchie il tuono del temporale e le urla della sua bambina, Alice.
Scatta come una molla e si precipita da lei, accende la luce e la trova raggomitolata sotto le lenzuola.
«Amore mio, la mamma è qui» le dice.
La piccola abbassa la coperta quel tanto da ficcare fuori due grandi occhi lucidi, carichi di paura: «Il buio mi voleva mangiare» le dice.
«Sei sicura che fosse proprio il buio?»
Alice annuisce spaventata.
«Amore mio, il buio non ti voleva mangiare…» dice Miranda pensando a suo nonno, al fatto che se fosse ancora vivo, per quanto avesse trovato strano questo tempo, avrebbe continuato a raccontare tante storie, ma con gli occhi in quelli della figlia, s’accorge che ogni tempo ha le sue parole per potersi raccontare, e la rassicura: «No per davvero, sai? Il buio non mangia mica nessuno! Lui… voleva solo regalarti dei sogni.»
Con un po’ di coraggio, Alice scopre la testolina arruffata: «E tu come lo sai?» dice tirando su col naso.
«È un segreto.»
«E a me me lo dici mamma?»
Miranda finge di pensarci su, poi le sorride: «Va bene, ma… non dovrai dirlo a nessuno, promesso?»
«Promesso!» e si tracia una croce sul cuore, sguscia fuori dalle coperte un altro po’ e aspetta che la mamma le sveli il segreto.
«Bene,» le dice Miranda, «il mio segreto, sarà il tuo.» E inizia la storia: «Allora… devi sapere che il buio, in realtà, è un caro amico di tutti i bambini. E quando eri ancora nella pancia, lui è venuto a trovarmi e, in cambio di una bella cioccolata calda, mi ha raccontato la vera storia della notte. Il segreto del Grande Buio.»
Gli occhi di Alice si fanno curiosi si stringe a mamma e l’ascolta.
«Tanto tempo fa, lassù nel cielo, oltre l’arcobaleno, esisteva un mondo fatato pieno di colore e vita, dove i fiumi scorrevano vivaci e i fiori profumavano di zucchero filato. Era il Regno della luce, luogo di pace e amore, ma, ahimè, privo di sogni. Perché non esisteva la notte, e quindi il buio. Tutto era lì, sempre visibile agli occhi. Nessuno aveva fantasia, non esisteva nemmeno come idea. Ma un giorno, la fata dell’ombra, invidiosa delle sue sorelle sempre splendenti e felici, cosparse polvere di cristallo su tutta la terra. I frammenti iridescenti assorbirono la luce, il cielo si oscurò e ogni cosa divenne nera. La paura prese il sopravvento ovunque e per giorni interi regnò il caos in ogni dove. Le fate dei colori pregarono allora la sorella di riportare la luce, ma lei non volle, felice di non essere più l’unica ombra. Soddisfatta di avere l’attenzione che mai le era stata data. Si sentì essenziale. E così, le tenebre avvolsero il mondo intero e nessuno fu più in grado di vedere. Fu in quel momento che le persone iniziarono a sognare, per non dimenticare la bellezza dei colori. E dai sogni degli uomini, rinacquero i colori. Blu, rosso, giallo e ogni loro fratello, ripresero vita e, con loro, le fate. Le magiche creature videro i sogni degli uomini e li trovarono talmente belli che decisero di perdonare la sorella e d’accoglierla come una di loro: la vestirono di scuro, per non dimenticare, e suo fu il compito di proteggere i sogni. La fata nera allora creò il Grande Buio, per custodire i desideri degli uomini, nutrire le loro fantasie e cullarli nel sonno, con amore.»
Lo sguardo della bambina si tinge di serenità, mentre, lenta, lotta col sonno per sentire la fine della storia. Miranda le accarezza la testa, le rimbocca le coperte e, baciandole la fronte, le sussurra la fine: «Senza la notte non esisterebbero i sogni e, senza i sogni, le stelle, perché, per ognuno di loro, una nuova stella splende in cielo e lo colora di luce.»
Miranda si ferma un istante sulla porta a guardare Alice. Sorride, e torna a letto. Sente i ricordi accavallarsi come carte di Straccia Camicia. Pensa al tempo che scorre troppo in fretta, a quanto è passato, a quanto verrà. A quanto mai più tornerà. Pensa a suo nonno, alla guerra che se l’è preso, alle braccia del militare che l’hanno salvata.
Guarda la cornice sul comò e pensa: Il fuoco è rosso, e brucia. Ma è anche molto di più.