Finalmente venne tolto il sigillo alla busta. Uno dei giudici, mostro sacro delle cucine internazionali, fece l’annuncio tanto atteso: «Il tema della prova finale della terza edizione del Re dei Cuochi è … la carota!»
Anna, uno dei due finalisti, non batté ciglio. La sua mente stava già vagliando alternative, pianificando abbinamenti, valutando tempi di cottura.
Marco, il suo antagonista, rimase impietrito. E’ uno scherzo, pensò. Non sapeva neppure che sapore avesse una carota. Da bambino, infatti, era rimasto quasi soffocato nell’inghiottire quell’ortaggio e da allora lo temeva più di un leone o di uno squalo.
«Tutto bene?» si sentì risuonare nello studio.
Marco si accorse che Anna aveva già preso posto nella cabina di gara, una cucina perfettamente attrezzata dotata di pareti semitrasparenti, al di fuori delle quali si potevano intuire le operazioni compiute dai concorrenti solo attraverso i movimenti della loro ombra.
«Sì, tutto bene,» mentì il ragazzo e raggiunse la propria postazione. Mi verrà in mente qualcosa, provò a convincersi mentre passava in rassegna con lo sguardo i molti ingredienti disposti sul tavolo. Le carote ci sono, constatò stupidamente. Si mise a riflettere. Trascorsero minuti interminabili, senza alcun risultato.
Decise quindi di darsi da fare in qualche modo: la sua inerzia stava sicuramente suscitando perplessità nei membri della giuria e questo lo faceva sprofondare ancora di più nel panico. Scelse una pentola, la riempì d’acqua e la mise sul fuoco. Dell’acqua bollente torna sempre utile, si disse. Tirò fuori il mixer e assemblò la lama sminuzzatrice. Potrei averne bisogno in seguito, osservò. Prese una carota e la lavò sotto l’acqua corrente. Bene, asserì amaramente, ora dispongo di una carota perfettamente pulita. Si mise a fissarla. Uno, tre, cinque minuti. Ancora nulla. Cominciò allora a passeggiare avanti e indietro, spostando oggetti e muovendo le braccia a casaccio per dissimulare la propria crisi davanti alle telecamere.
«Perché non parli?» chiese all’ortaggio dal profondo del suo sconforto. E a quel punto ebbe un’illuminazione. Fece spazio sul piano d’acciaio, vi accostò uno sgabello e cominciò finalmente a lavorare.
Il tempo avanzò inesorabile. La spia sulla cabina di destra si accese: Anna aveva completato la propria realizzazione. Da quel momento Marco sarebbe dovuto uscire entro il termine tassativo di due minuti, ma la sua porta si aprì quasi immediatamente. Raggiunse Anna portando con sé il frutto del proprio lavoro rigorosamente occultato da un coperchio semisferico, come da regolamento.
I giudici scoprirono il piatto di Anna: “quenelle di lucioperca su zabaione di carote al cumino con ostie di zenzero caramellato”. Uno spettacolo per la vista e il palato. Quando lo assaggiarono non riuscirono a contenere la propria soddisfazione.
Arrivò il turno di Marco. Il coperchio fu sollevato, rivelando una singola carota adagiata su un tagliere di bambù. A fianco c’era un biglietto. I giudici, esterrefatti, lo presero e lessero ad alta voce: «E’ un piatto a chilometro zero, semplice, sano e assolutamente non migliorabile. Le emissioni di anidride carbonica per la sua realizzazione sono nulle. Gli scarti della lavorazione sono trascurabili. Abbandonando l’esasperata ricerca del sensazionalismo a favore della genuinità delle materie prime, si può percorrere la via di sapori più autentici e di un modello alimentare sano ed ecosostenibile.»
I giudici parvero imbarazzati. Uno di loro disse, in tono istituzionale: «Da regolamento, dobbiamo assaggiare.»
A turno assaggiarono la carota. Marco conquistò il titolo di Re dei Cuochi.
Che balla spaziale!