Benjamin, il bellissimo Ficus Benjamina, che sta davanti alla porta a vetri degli uffici della W.E.C S.p.A. non può fare a meno di ritrarsi sentendo i loro passi risuonare nel corridoio.
La voce roca di quell’impiegata tracagnotta gli da sui nervi già in lontananza, quel tono concitato e saccente, quei modi bruschi, quel culone sproporzionato, quella puzza di sigaretta che si porta dietro… mamma mia quant’è sgradevole! Benjamin si ritrae ancora un po’, perché non vuole farsi notare dalle due impiegate che stanno passando davanti a lui per andare alla macchinetta del caffè.
Questa mattina la tracagnotta è già alla terza pausa: chiacchierata, caffè, sigaretta. Benjamin la sente parlare e non può fare a meno di notare che la concitazione della sua voce è direttamente proporzionale alla banalità delle cose che dice.
“Non vedo l’ora che finiscano il nuovo supermercato qui dietro”.
“Come, aprono un altro supermercato?” La voce della seconda impiegata suona monotona, come se parlasse giusto per dire qualcosa.
“Sì, lo stanno costruendo, proprio di fronte al Maglificio Giacchetti, non hai visto le gru?”
“Mi sembra che per essere una zona industriale, questa sia ben servita: c’è il Conad sul viale, un Discount qui dietro e un altro nella via dello Stadio, c’è quello che vende i detersivi e il supermercato piccolino nella traversa, c’era bisogno di un altro Supermercato? ”
“Ma no, non hai capito, qui ci viene un bel supermercato grande, non hai visto che parcheggio stanno facendo?”
“Dov’è che lo fanno di preciso? Davanti a Giacchetti non c’è un parco con i giochi per i bambini?
“Sì, c’è il parco, dietro c’è il campetto da calcio e di fianco c’era tutta una zona senza niente”.
“C’erano dei begli alberi e dei prati, io ci parcheggiavo la macchina d’estate, quando andavo al Maglificio per portare le campionature”. Benjamin ha un sussulto, non avranno mica tirato giù gli alberi del viale davanti al Maglificio Giacchetti? gli unici che riparavano questi storditi di umani dalla calura che d’estate diventa ogni anno più forte. E poi il parco… era piccolo, ma carino; le ragazze dell’ufficio commerciale, quelle simpatiche, ci andavano in primavera in pausa pranzo, a mangiare sulle panchine e quando tornavano erano tutte allegre e di buon umore.
“Ah, io sono contenta, ci viene una bella Coop grande, comoda, un bel parcheggio…”
Ma, mi sembra che non lavorerà molto, c’è già una Coop nel centro commerciale a cinque minuti, e lì davanti al maglificio Giacchetti non ci passa più nessuno ormai, hanno chiuso tutti! Non mi sembra una gran trovata, quasi quasi era meglio se lo lasciavano com’era, con l’ombra e gli alberi. ”
“Che te ne frega poi dell’ombra? tanto hai l’aria condizionata sulla macchina, no? E allora?! Pensa piuttosto agli sconti che faranno i primi tempi per attirare i clienti”.
La tracagnotta apre la porta finestra e si accende la sua terza sigaretta della mattinata. Il vento ributta dentro tutto il fumo. Benjamin si gira verso il corridoio, seguendo l’altra impiegata che torna nel suo ufficio; è preoccupato.
La tracagnotta rientra, gli spegne la sigaretta addosso e lascia lì la cicca, tanto non la vede nessuno, pensa lei, e se qualcuno dice qualcosa, può essere stato chiunque, no?
La porta finestra è rimasta aperta. Benjamin si sporge più che può e cerca di richiamare l’attenzione del cespuglio di Ortensie nel giardino, deve capire cosa sta succedendo. Le Ortensie in questo momento dell’anno sono splendide e non è certo per merito del giardiniere, pensa Ben, piuttosto di tutta l’acqua che è venuta.
“Ciao Ben, che c’è?”
“Ho sentito dire che stanno costruendo un nuovo centro commerciale qui dietro e che hanno tirato giù gli alberi del viale per farci un parcheggio grande, sapete qualcosa?”
“Noi non sappiamo mai niente di quello che succede oltre il cancello, ma adesso proviamo a sentire in giro”.
“Grazie, fatemi sapere. Sono preoccupato”.
Le Ortensie chiedono ai poveri Cipressi della siepe, mutilati dall’orrenda potatura di cui il giardiniere va così fiero. I Cipressi chiamano il Potus appoggiato sul davanzale interno della sala mensa dell’azienda di fronte, il Potus si mette in contatto con la Kentia gigantesca dello show room, che parla con il Tronchetto dell’ingresso che sta sull’altro lato e così, di pianta in pianta, la domanda arriva fino ai Pioppi del viale, quei pochi rimasti.
La risposta torna indietro rapida: è tutto vero, il Comune ha dato via libera alla costruzione di un grande supermercato, gli alberelli nati spontaneamente nell’area incolta sono stati tagliati, il prato è stato sostituito da un grandissimo parcheggio, la maggior parte dei pioppi che costeggiavano il viale sono stati abbattuti.
I Viburni nel vaso davanti al bar hanno perfino riportato un aneddoto: la barista si è rallegrata con gli uomini della squadra che hanno abbattuto i pioppi perché finalmente è stata rimossa la causa di tante allergie: “Era ora, ma sapete quanta gente soffre di allergie quando è il periodo che girano tutti quei piumini?”
Ben ascoltava il resoconto incredulo; accidenti, quanto sono diventati ignoranti gli umani, non sanno che non sono i piumini dei pioppi a causare le allergie, ma i pollini? E comunque, anche se fosse, come possono gli uomini e le donne essere così ingrati? Non lo sanno che senza le piante non potrebbero respirare né vivere, mentre loro, le piante, starebbero benissimo senza gli umani?
È ora di fare qualcosa, non si può stare qui a guardare l’ennesimo massacro senza fare niente. Ci vuole una strategia, ecco, bisogna mettersi in contatto con il Platano che sta sull’incrocio con la strada bassa che porta verso quel po’ che rimane della vecchia campagna.
Il grande Platano all’incrocio della strada bassa è una pianta secolare, che ne ha viste di tutti i colori. Sotto la sua larga chioma c’è un’edicola con una Madonnina e di fianco un cippo che ricorda i caduti della Prima Guerra Mondiale.
Quando la siepe di Arnica sul bordo del fosso gli sussurra che Benjamin, il Ficus della W.E.C., ha bisogno dei suoi consigli, il Platano incomincia a riflettere e, come molti vecchi, lo fa ad alta voce. Abbassa lo sguardo verso il cippo di fianco a lui e comincia a parlare tra sé. Li conosceva quei ragazzi, erano giovani del paese, li aveva visti partire per il fronte, cent’anni prima, forti e pieni di energia e poi aveva visto i loro genitori, vestiti a lutto, portare qualche Margherita, qualche Rosa, curvi e tristi, nel mese di maggio. Il Platano centenario aveva visto i fratelli di quei ragazzi e i loro cugini più giovani accucciati nel fosso, con fucili e granate, sparare contro i tedeschi alla fine della Seconda Guerra Mondiale e qualche anno prima aveva visto i fascisti riempire di botte quelli che chiamavano comunisti. L’aveva vista con i suoi occhi la follia degli umani, l’aveva vissuta sulla sua corteccia.
Follia fa rima con bugia. Quante bugie aveva sentito nella sua lunga vita? …
“Fai il tuo dovere, difendi la Patria!”, “Con la Guerra ci riprenderemo Trento e Trieste e compiremo il nostro Risorgimento!”, “La Guerra è necessaria, è indispensabile per il progresso e per la libertà!”, “Sarà una Guerra rapida, vedrete che i vostri ragazzi saranno a casa per Natale!”…
Erano tutte bugie, alle quali molti avevano creduto, ma dietro tutte le parole c’era la solita spinta: il desiderio di alcuni, che già avevano molto, di avere di più, più mercati, più affari, più ricchezza… Erano pochi quelli che avevano da guadagnare con la guerra, gli altri avevano tutto da perdere, ma quei pochi erano furbi e molto motivati, erano riusciti a fare tanto chiasso, facendo leva sull’ignoranza e sui buoni sentimenti, con i giornali, con gli slogan, allettando con belle immagini, racconti di eroismo… e alla fine l’avevano spuntata, avevano avuto la Guerra! I contadini lì intorno, come tutti gli altri contadini, in fondo al cuore lo sapevano che la guerra è un flagello, ma il loro parere non contava niente, come potevano loro, così ignoranti e poveri, ribattere alle belle parole dei signori, dei giornali, delle persone istruite? Così tutti, anche senza crederci, erano finiti in quell’avventura… una brutta avventura, un incubo, che aveva di lì a poco trascinato con sé un altro incubo altrettanto brutto: un’altra guerra! Altri morti, altra distruzione, altri orrori…
Poi era arrivato quello che gli umani chiamano benessere, ma il grande Olmo del Vettigano, che era ancora più vecchio di lui, quello che la gente del posto chiamava l’Olma, l’aveva capito subito che sul paese stava per abbattersi un altro flagello, e glielo aveva detto già negli anni Settanta: “Certo, gli uomini e le donne ora sono tutti più istruiti e hanno i soldi, ma… a che prezzo? L’Olma del Vettigano, aveva combattuto con tutte le sue forze, aveva resistito agli attacchi del fungo che aveva sterminato quasi tutti gli Olmi del continente, come una mamma che non vuol abbandonare i sui piccini, troppo piccoli per potersela cavare da soli, troppo immaturi per rendersi conto di quello che stanno combinando. La grande mamma aveva visto il torrente tingersi di colori strani, riempirsi di schiuma, disseccarsi, poi lo aveva visto ingrossarsi a dismisura, uscire e allagare tutto… lei lo sapeva perché… lei aveva tentato di aprire gli occhi ai sui figli adottivi e lo aveva fatto con la bellezza, offrendo protezione e riparo, regalando ombra e frescura, ma gli uomini e le donne del paese erano troppo presi dalle loro cose: la loro villetta tutta bella pulita, il prato all’inglese, il diserbante specifico, le piante no, che orrore, le piante sporcano, poi le radici, che rottura, spaccano tutto il viale… Passavano in macchina, non alzavano neanche più lo sguardo e avevano finito per dimenticarsi di lei, un vecchio albero, che poteva avere trecento o forse anche quattrocento anni, lì in mezzo al nulla tra una discarica, un prato incolto e una zona industriale mezza abbandonata. Alla fine anche la grande Olma aveva gettato la spugna e si era seccata, sperando che quel suo ultimo sacrificio facesse riflettere i suoi figli adottivi. Così però non era stato, qualcuno aveva parlato della sua morte, è vero, ma non c’erano state grosse reazioni, i più avevano scrollato le spalle, senza nemmeno sapere che con la grande Olma del Vettigano se ne andava un patrimonio che nessuno avrebbe mai più restituito.
Il Grande Platano era troppo intelligente per non capire che la Storia si stava ripetendo. Altre bugie più subdole avevano soppiantato quelle vecchie, ormai obsolete. “Non è vero che il clima sta cambiando, ci sono sempre stati cicli di temperature più alte, più fredde, alternanze di siccità e di pioggia…” “Ma no, ma di campagna c’è n’è ancora tanta!” Nuovi predicatori, travestiti da economisti o da scienziati, venivano pagati per minimizzare e per convincere che lo sterminio dei campi, l’avvelenamento delle acque, la distruzione del paesaggio sono solo danni collaterali, mali necessari. “Costruire è necessario per aumentare la ricchezza, per dare lavoro a tanta gente, non vorrai mica buttare in mezzo alla strada le famiglie dei muratori e degli operai, ma sai che indotto è quello della costruzione?”. “È con le grandi opere che si combatte la disoccupazione”… “Tutto non si può avere, vuoi fare come quegli esaltati che vanno in giro a protestare per gli animali e, peggio ancora, per le piante, e poi che fai? Come mangi?”. “Sarà ben meglio pensare alle famiglie dei lavoratori che sono a casa perché quei matti hanno bloccato i cantieri, ma sai che danno? Vorrei vedere te al loro posto!”
Chissà perché, si domandava il Platano, gli uomini e le donne del paese avevano sempre una gran voglia di credere alle bugie che venivano loro raccontate. Arrivavano perfino a negare l’evidenza e preferivano chiudere gli occhi piuttosto che prendere posizione, preferivano far finta di niente, anche davanti alle evidenze che gli scienziati, quelli veri, denunciavano.
Un rumore interrompe bruscamente le riflessioni del vecchio Platano. E’ una macchina che si ferma in fretta. Scende una bimba, bionda, gracilina, è evidente che soffre il mal d’auto e la macchina si è fermata per darle modo di svuotare lo stomaco lì in campagna. Dopo poco scende anche la mamma “Accidenti, dovevi proprio vomitare? Siamo già in ritardo! Te lo dico sempre ‘guarda avanti’, invece tu sei sempre lì che ti distrai, sempre a guardar fuori, cosa ci sarà poi da guardare qui? Non c’è niente!”
Ecco cosa siamo noi agli occhi di questa donna ‘niente’, constata il Platano.
La bimba alza gli occhi, lo vede e, come se avesse colto in un attimo tutte le sue riflessioni, si gira a guardare la sagoma della maestosa Olma ormai secca.
“Mamma, perché quell’albero grande là giù in fondo ha i rami come d’inverno, mentre tutti gli altri alberi sono pieni di foglie?”
“Ma cosa ne so io? Dai, se stai bene possiamo risalire in macchina e andare, è già tardissimo”.
La bimba si gira verso il Platano e con uno sguardo riesce a dirgli: “Domani pomeriggio chiedo al nonno se mi porta qui, lui non mi dice mai di no; il nonno saprà sicuramente spiegarmi perché quell’albero gigante è rimasto come se fosse ancora inverno”.
Il Platano quasi non ci crede, sono anni che non prova una tale affinità con un essere umano, è riuscito a leggere lo sguardo della bambina e lei ha accolto i suoi pensieri, non succedeva da tanto, troppo tempo!
Ecco, ora sa cosa rispondere a Ben. Domani, quando la bimba bionda tornerà, le farà sapere tutto. Il nonno le racconterà di com’era magico quel posto prima e lui, il Platano, troverà il modo di farle sapere che ora a rischiare grosso non è solo il parco dove i bimbi vanno a giocare quando c’è bel tempo: la posta in gioco è molto più alta. Attraverso la bimba riuscirà a fare arrivare il messaggio alla maestra Stefania, quella pasionaria che lo scorso anno ha impiantato insieme ai bimbi e ai loro genitori un orto sinergico nel giardino della Scuola Materna; lei convincerà gli altri insegnanti, insieme riusciranno a coinvolgere anche i bimbi delle elementari, i ragazzi delle medie e i loro genitori. Ecco l’unica strategia possibile: tutti insieme riusciranno a mobilitare parte del paese, boicotteranno il nuovo supermercato, così che i vertici della Coperativa, toccati nei loro interessi, dovranno per forza fare qualcosa; contribuire ad impiantare nuovi alberi al posto di quelli abbattuti, tanto per cominciare.
Come se l’energia e l’ottimismo di Ben avessero contagiato il grande vecchio, il Platano si attiva e incomincia a mettere a punto il piano nei dettagli. Dopo tanto tempo, si sente di nuovo pieno di forza, sicuro che riuscirà ad aprire gli occhi a molti uomini e donne, che smetteranno di credere alle chiacchiere dei ciarlatani. Pensa che, prima di morire, combatterà fino all’ultimo la sua battaglia al fianco dei bambini, delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze che non vorranno più essere servitori della grande Follia che fa rima con Bugia.