Ero appoggiato a una colonna del porticato, sul lato nord della piazza. Il sole era ancora nella metà del cielo d’oriente. L’aria settembrina, unita all’ombra del mio sostegno, mi fecero alzare il bavero. O fu il desiderio di rendermi invisibile da chi, con me, attendeva di vedere lo spettacolo. Al centro del selciato c’era il palco di legno. Al centro del palco la gogna appariva chiusa. Sotto, in prima fila, c’erano diverse donne vestite con l’abito buono e con ortaggi nelle mani. E poi uomini con secchi pieni di liquidi opachi. Il vociare era fitto quando alle 10 fu interrotto dal suono della campana. Dal palazzo opposto a dove mi trovavo vidi la folla aprirsi al passaggio di un piccolo corteo che raggiunse il palco. C’era una scala di legno. Iniziarono a salirvi due guardie, poi un uomo incappucciato che trascinava una donna con le mani legate. Anche lei aveva il volto coperto. Li seguivano altre due guardie.
Avevo amato quella donna che saliva i gradini. L’avevo amata come altre decine o centinaia di altri uomini nella piazza, e chissà quanti altri che quel giorno si trovavano in altre lande, forse senza più pensare a lei. Ma collezionare i nostri pezzi di cuore senza pretendere né dare denaro, le era costato alla fine il ludibrio della piazza.
Il boia alzò i ceppi, sciolse la corda che stringeva i polsi di lei, la fece inginocchiare e le appoggiò le mani sopra il legno; poi piegò la testa incappucciata di lei nel semicerchio al centro della gogna. Abbassò il giogo. Chiuse i lucchetti. Si parò dinanzi a lei e strinse con la mano destra la sommità del cappuccio della donna. Tirò. Prima si vide il riflesso dei capelli ramati, poi gli occhi pesti, ma furono solo brevi annotazioni di neuroni precoci. Chi la vide quel giorno ricordò solo il suo sorriso. Lo stesso sorriso che io avevo già visto: quello dopo il piacere. Nessun oggetto fu scagliato quella mattina in piazza.
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Molto bello, il finale è inaspettato, complimenti.