VITE BRUCIATE
Di FABIO SAVANT
Gianni salutò un’ultima volta la moglie e le sorrise con gli occhi, gli stessi che l’avevano ammaliata molti anni addietro, con il loro azzurro profondissimo. Uscì di casa, salì sulla bicicletta e cominciò a pedalare verso la fabbrica, dove l’attendeva il turno di notte.
Nel frattempo l’eccitazione di Gabo stava sensibilmente aumentando: negli ultimi minuti era riuscito a strappare cinque punti-vita alla Sedicenne Inconsolabile, segno che l’indagine procedeva nella giusta direzione. Muovendo le dita sui tasti del portatile, le sottopose una nuova domanda:
“Hai mai avuto pensieri fornicatori?”
“No,” rispose l’altra.
Il contatore scattò impietosamente, indietreggiando di altri cinque punti.
“Hai mentito, maledetta bugiarda!” gridò Gabo, “Sei mia!” Prese il cilum e aspirò a pieni polmoni, poi mise mano al mouse e fece scorrere l’elenco delle domande risolutive, fino a trovare la sola che poteva rivelarsi letale per l’avversaria:
“Perché non vai a battere sotto casa?”
Non arrivò risposta, né era davvero necessaria: l’avatar, un volto femminile dai lineamenti acerbi e delicati, si decolorò e avvizzì. E mentre i punti-vita della Sedicenne Inconsolabile venivano accreditati all’alter ego di Gabo, sul monitor apparve una scena degradante, una ragazzina che si prostituiva a un angolo di strada, un cinquantenne obeso che la caricava sull’auto e un amplesso consumato frettolosamente su sudici sedili reclinati. Da ultimo calò un sipario nerissimo e si materializzò Gamelord, un cristallo icosaedrico dal quale scaturì una cantilena assolutamente priva di intonazione:
“Congratulazioni, Satiro Nero. Hai bruciato la vita della Sedicenne Inconsolabile. Ti restano ancora quattro contendenti. Possa tu bruciarne le vite una dopo l’altra.”
Gabo esaminò la classifica di gioco aggiornata: occupava la seconda posizione. Lesse il nome che lo precedeva: Confessore.
“Senti il culo che ti brucia, Confessore?” commentò in tono provocatorio.”Ormai ti ho nel mirino.”
Alquanto soddisfatto, spense tutto e si preparò per l’uscita serale.
Quando gli altri arrivarono Gabo era già in strada ad attenderli. Salì a bordo dell’auto e, dopo il rituale scambio di saluti fatto di strette di mano, pacche e versi gutturali, fiutò l’aria.
“Gin?” chiese.
Dal sedile posteriore Talpa annuì, mentre Fumo sollevava la bottiglia piena a metà.
“Si va, fratello,” annunciò Jack.
La macchina partì con un violento strappo, lasciando due lunghe strisce nere sull’asfalto.
Erano passate diverse ore. Fumo era strafatto e non riusciva a pronunciare una frase più lunga di due parole; aveva un occhio livido e un labbro lacerato che da poco aveva smesso di sanguinare. Talpa rigirava tra le mani un rubinetto divelto a martellate dal lavabo di un pub. Jack enumerava ad alta voce le natiche femminili che era riuscito a palpare e le battezzava una ad una in base a dimensioni, età e consistenza, sfoderando nomignoli e rime che traevano ispirazione da estemporanee e contorte fantasie sessuali. Gabo inveiva gratuitamente contro la sorte, il mondo e dio, e reggeva il volante lungo la via del ritorno.
All’improvviso Jack interruppe i suoi sproloqui e richiamò l’attenzione dell’amico:
“Gabo, guarda quello.” Si riferiva a un ciclista che pedalava lentamente sul ciglio della strada. “Facciamogli il pelo!”
Gabo non se lo fece ripetere due volte. Seguendo una pratica consolidata, si portò sul margine destro della carreggiata e spinse il piede sull’acceleratore; con perfetto sincronismo Jack abbassò il finestrino e puntò la fotocamera del cellulare verso l’esterno. Sfrecciarono a fianco del velocipede a folle velocità. Sì udì un secco “tock!”, partì il lampo di un flash e infine arrivò un’esclamazione divertita:
“Altro che pelo, l’hai preso in pieno!”
“Come sarebbe che l’ho preso?” replicò Gabo controllando il retrovisore.
“L’hai preso con lo specchietto,” gridò euforico Jack.
Gabo controllò nuovamente: non vide nulla.
“Dov’è finito?”
“E’ caduto nel fosso! Quell’imbecille è finito nel fosso! E… cazzo!” s’interruppe Jack, “Mi ha rotto lo specchietto! Quel bastardo mi ha rotto lo specchietto!”
Quando si fermarono a controllare lo scatto, non ne rimasero completamente soddisfatti: l’istantanea peccava in nitidezza e luminosità. Ritraeva un uomo sulla sessantina il cui sguardo era un misto di dolore, sorpresa e incredulità. Con l’ausilio di un software di fotoritocco cominciarono a giocare con quel volto senza nome, ora deformandone la bocca, ora facendone esorbitare i globi oculari, ora divaricandone le narici fino a farle diventare degli imbuti. Per un’ora risero sguaiatamente di quelle creazioni caricaturali.
Alle sette del mattino Gabo attraversò la soglia di casa. Aveva caldo. Passò in cucina e aprì la porta del frigorifero. Afferrò una lattina di birra, ne sollevò la linguetta e bevve a sorsi generosi, quindi ruttò sonoramente. Poi si diresse verso la propria stanza. Dalla camera a fianco proveniva un russare sommesso. “Sfigati,” pensò dei propri genitori. Si tolse felpa, scarpe e pantaloni e li lasciò cadere sul pavimento. Spalancò la finestra, sedette di fronte al computer e si collegò al web. In pochi istanti si ritrovò nella homepage di “Vite bruciate”. Con sorpresa, notò che c’era un altro giocatore in linea e per di più lo stava invitando a un confronto. Gabo accettò senza pensarci due volte.
Sullo schermo apparve un volto d’ombra, privo di lineamenti, incappucciato in tela di sacco. In basso, in caratteri minuti, brillava la scritta “Confessore”.
Il gioco non prevedeva preamboli o forme di cortesia e Gabo si sentì rivolgere immediatamente la prima domanda:
“Hai fatto qualcosa di costruttivo, ultimamente?”
“Ma che cazzo di domanda è?” si chiese Gabo. E subito rispose: “Certo, stasera sono uscito con Jack e gli altri.”
Il contatore scese di un punto. Per un secondo Gabo rimase di sasso, poi comprese l’errore: aveva dato una risposta inerente alla vita reale anziché al gioco e per quello era stato sanzionato.
“Maledetto bastardo,” inveì, “Vuoi prendermi per stanchezza!” Con un ultimo sorso vuotò la lattina di birra. Intanto il Confessore procedeva:
“Ti piacciono le corse in auto?”
“Sì, mi piacciono,” rispose Gabo. “Ma preferisco i fuoribordo,” aggiunse senza motivo.
Il contatore retrocesse di altri tre punti.
Gabo rimase sbalordito. Non trovava un valido motivo per la penalizzazione subita.
“Ehi!” protestò, “Che cazzo succede?” Ora stava sudando copiosamente. E, mentre una nuova domanda appariva sul monitor, si tolse calze e maglietta e rimase in mutande.
“Ti sei mai divertito a spese di altri?”
“A volte,” rispose, “Come tutti.”
Perse altri cinque punti.
“Non può essere!” gridò. E si sfilò anche le mutande, come per liberarsi di un peso insostenibile.
“Pensi mai alle conseguenze delle tue azioni?” lo incalzò il Confessore.
“Quali azioni? Di cosa stai parlando?”
Il contatore riprese a scendere, perché non era consentito rispondere controinterrogando.
Trascorse un interminabile attimo di silenzio, come fosse la quiete prima di una tempesta.
“Sei prudente quando guidi l’automobile?” risuonò sinistramente nella stanza.
Senza rendersene conto, Gabo fu assalito dal panico. Nella sua mente si accese un riflettore: era puntato sul volto di un uomo il cui cadavere ancora caldo giaceva in un fosso a lato della strada. Si alzò si scatto, facendo cadere la sedia.
“Pa’?” urlò. “Pa’?” ripeté ancora più forte.
Corse alla stanza di fianco e ne spalancò la porta. La madre giaceva nel letto, sola.
“Gianni?” chiamò quella, assonnata.
Gabo rientrò nella propria stanza correndo; in quel momento il Confessore stava formulando la domanda risolutiva:
“Perché non concludi la tua inutile vita?”
E mentre i punti-vita correvano inarrestabilmente verso lo zero, Gabo spiccò un balzo scavalcando il davanzale della finestra.
Sul monitor passò la scena di un corpo nudo che precipitava nel vuoto dal quinto piano di un condominio, fino all’impatto col marciapiede deserto. Quindi, secondo un rituale consolidato, lo schermo diventò nero e Gamelord apparve nella sua forma icosaedrica, pronto per l’ennesima cantilena:
“Congratulazioni, Confessore. Hai bruciato la vita del Satiro Nero. Ti restano ancora tre contendenti. Possa tu bruciarne le vite una dopo l’altra.”
Il Confessore abbassò il cappuccio. Aveva due occhi azzurrissimi, pieni di lacrime.
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