BINARIO MORTO
Di Ireneo Gerolomino
Due fari squarciarono il buio di quella tipica sera invernale fredda e nebbiosa, una Simca 1000 verde metallizzata imboccò il piccolo viale e andò a fermarsi nel parcheggio antistante l’ufficio del Capo Stazione, il motore cessò di girare, i fari si spensero e una portiera si aprì cigolando, una figura strana si stagliò sotto la fioca luce di un lampione: era l’Assistente Capo Leone Brambilla.
Esemplare in via di estinzione, l’Assistente Capo, in genere era una figura professionale in perenne crisi d’identità, in quanto collocata a metà strada tra il personale esecutivo e l’impiegato di concetto.
Ormai prossimo alla pensione, Leone che per il suo coraggio non avrebbe potuto avere nome meno adatto, aveva trascorso tutta la sua esistenza di ferroviere in quel Posto Movimento, prima come manovale, poi come Assistente infine era giunta per anzianità la promozione ad Assistente Capo così agognata, non tanto per l’aumento di stipendio ma soprattutto per quella parolina magica “Capo” che in Ferrovia significa poco o niente ma nella comune accezione del mondo esterno identifica una persona che detiene un certo potere e che lo esercita tramite il comando e Leone giocava proprio su questo equivoco per vantarsi con parenti e amici di essere un “Capo”.
Di carattere mite era assolutamente un metodico, ogni sua operazione si ripeteva sempre allo stesso modo da trent’anni, era uno spettacolo vederlo, per esempio, quando sempre alla stessa ora consumava in ufficio il pasto serale. Incominciava con l’apparecchiare la scrivania usando come tovaglia due moduli di servizio, poi con molta calma e sempre nello stesso ordine tirava fuori la bottiglia di Barbera, la “Schisceta” contenente primo e secondo piatto, le posate, il bicchiere e per finire la solita “mela al giorno che toglie il medico di torno”.
Amava il suo lavoro in tutti le sue sfaccettature tranne una: la spunta notturna dei treni merci. Il motivo, molto semplice da intuire, era la paura di aggirarsi di notte in quell’immenso e deserto scalo merci che per di più confinava con il più grande cimitero metropolitano.
In trent’anni di servizio ci aveva provato più volte a farsi coraggio ma poi si era rassegnato perché anche lui aveva capito che il coraggio se non lo hai, niente e nessuno te lo potrà mai dare. Aveva, allora, trovato al suo problema una soluzione alternativa molto astuta ed efficace, era quello di farsi trovare come per caso davanti al distributore automatico del caffè alle 22,30, proprio nel momento in cui montava in servizio l’agente Polfer del turno di notte. Prima lo salutava calorosamente, poi gli offriva il caffè e infine sorseggiando il caffè, mentre parlava del più e del meno la buttava lì: ”Perché questa notte non andiamo insieme a fare la spunta dei treni?”. Il polferino accettava sempre di buon grado in quanto un giro di perlustrazione rientrava comunque nei suoi compiti e farlo in compagnia era meno noioso, così entrambi erano soddisfatti perché ognuno otteneva il suo tornaconto.
Quella notte tuttavia il destino aveva deciso di giocare a Leone uno scherzo di quelli che non si dimenticano tanto facilmente.
Dopo aver chiuso a chiave la macchina, si accese una sigaretta ed con passo apparentemente deciso entrò nell’ufficio del Dirigente Movimento, salutò i presenti con un buonasera collettivo e si presentò in perfetto orario dal collega smontante per ricevere le consegne tra cui la seguente: Con il convoglio numero… arriverà il carro numero 21 83 … contenente una salma diretta a Palermo, dovrà essere messo in composizione al treno per Palermo che verrà formato sul binario, adiacente al muro di cinta confinante col cimitero ,ciao e buon lavoro.
“Buono un accidenti!” pensò Leone che cominciava già a preoccuparsi sopratutto per il ritardo dell’agente Polfer, preoccupazione che divenne angoscia quando il ritardo si fece molto più consistente, decise allora di telefonare in caserma per chiedere informazioni e quasi non credeva alle sue orecchie quando il piantone gli rispose: stasera non verrà nessuno allo scalo poiché tutti gli agenti sono stati mobilitati alla stazione Centrale per una retata.
Leone si sentì mancare, tutte le circostanze gli erano avverse, ormai il treno era piazzato da parecchio tempo e non poteva più indugiare per cui a malincuore si munì di torcia elettrica, biro, taccuino e con un mesto: “allora io vado, eh?” indirizzato al Dirigente Movimento si avviò.
Lo scalo merci gli apparve in tutta la sua immensa solitudine, si alzò il bavero imitando il gesto di Humphrey Bogart nel film Casablanca e sperando di trovare il quel gesto un briciolo di coraggio in più, si avviò con passo traballante verso il maledetto treno.
Come al solito incominciò la spunta dal vagone di coda annotando man mano sul taccuino i numeri dei carri con i relativi pesi, non poteva però di tanto in tanto, evitare di pensare alla salma “sarà un uomo o una donna?
“Quanti anni avrà?” e dopo un po’ “Sicuramente è un terùn che sta tornando al suo paese per la sepoltura”.
Tali pensieri che fino a questo punto potevano avere una certa logica, col passare del tempo e col crescere della paura incominciarono a deragliare (giusto per essere in tema!) fino al punto che Leone incominciò a chiedersi: “E se non è morto del tutto?” oppure “E se risuscitasse proprio questa notte?” Con questi ed altri pensieri degni di un film dell’orrore si avvicinò sempre più al famigerato carro, guardò l’orologio era quasi mezzanotte, il verso lugubre di una civetta appollaiata su un cipresso del vicino cimitero lo fece sobbalzare, mentre una nuvola scura cominciava a coprire la pallida luna rendendo lo scenario ancora più tetro.
Con passo incerto e dopo essersi fatto il segno della croce, riprese la spunta, ormai solo tre carri lo separano dal luogo del terrore, … due carri … uno … eccolo incominciò a scrivere, la sua scrittura non era mai stata delle migliori ma ora a causa del tremolio della mano, non si capiva se scrivesse numeri o geroglifici. In lontananza il campanile di una chiesa cominciò a battere i rintocchi dell’ora , guardò l’orologio, il suo precisissimo Perseo (orologio ufficiale delle Ferrovie) segnava la mezzanotte, l’ora canonica in cui nei film dell’orrore succede sempre la cosa più raccapricciante. Con mano sempre più tremolante si accingeva a scrivere la quinta cifra quando gli sembrò che il portello cominciasse a scorrere “No!” pensò “non può essere vero, è solo frutto della mia fantasia ! !”.
Si diede uno schiaffo pensando di tornare alla realtà ma la porta continuava ad aprirsi emettendo un sinistro cigolio, era pietrificato voleva gridare ma l’urlo gli si smorzò in gola, il portellone si spalancò e sulla soglia apparve, in un clima surreale, una figura cupamente ammantata, il capo e il volto celati da uno scialle nero, gli occhi rossi come tizzoni che lo fissavano e l’indice di una mano adunca e nodosa e puntato verso di lui.
A questo punto finalmente Leone riuscì a sbloccarsi e, con uno scatto da centometrista si fiondò, senza mai voltarsi, verso l’ufficio del Capo Stazione ove si catapultò gridando: “È vivo! ! ! È ancora vivo! ! ! È resuscitato”.
Ci volle una buona mezzora e qualche grappino per fargli intendere che l’orrenda visione altri non era che la vedova a cui le Ferrovie avevano concesso il permesso di viaggiare in accompagnamento della salma.
La vecchietta, vestita a lutto secondo l’usanza del suo paese, avendo udito dei passi si era affacciata per chiedere notizie sulla partenza del treno, ma non aveva neanche fatto in tempo a dire: “Scusi …” che Leone aveva già lasciato da un pezzo i blocchi di partenza.
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